Che cos'è l'attacco di panico? Perché all'improvviso la vita di una persona viene completamente sconvolta da un'esperienza fisica e psichica così destabilizzante da non riuscire quasi a trovare le parole per spiegarla? L'individuo che viene assalito da questo insieme di sensazioni ed emozioni si trova del tutto impreparato ad affrontarle, vorrebbe scappare ma non sa in quale direzione e soprattutto non sa da cosa. Avverte che nel fluire naturale della sua esistenza si sta verificando una profonda frattura, il terreno sembra mancargli sotto i piedi, la realtà appare diversa, strana; egli stesso si sente diverso, un “altro” e la paura inizia a prendere il sopravvento. Una paura che ben presto diventa “paura della paura”, in una crescente spirale invalidante che attanaglia sempre di più il soggetto, impedendogli di trovare le giuste soluzioni per spezzare queste catene di angoscia che gli impediscono di vivere come prima.
Il paragone con il modo di essere antecedente alla crisi di panico diventa una costante. L'individuo vuole disperatamente ritornare ad essere “quello di prima” e avverte lo stesso desiderio nei propri familiari, nelle persone che gli vogliono bene, sempre più preoccupate e impotenti di fronte a tale forma di disagio inspiegabile. Gli “altri”, invece, coloro i quali non sono abbastanza legati a lui, ma che comunque rientrano nella sfera delle sue relazioni sociali, inizieranno a guardarlo con sospetto, non capendo il suo modo di agire motivato da un terrore apparentemente senza senso. Capire l'ansia, infatti, per chi non ne ha mai sofferto, è impresa tutt'altro che semplice; arrivarla a comprendere nella sua forma estrema, ossia nell'angoscia di morte che si avverte durante il panico, diventa un traguardo destinato solo a poche persone dotate di alcuni mezzi importanti come la sensibilità e l'empatia. Proprio tale comprensione, però, rappresenta il primo passo fondamentale verso la guarigione e fortunatamente la persona sofferente di ansia scoprirà che la sensibilità è una qualità che di certo non gli manca, ma che anzi lo caratterizza primariamente. Incamminarsi lungo questo sentiero conoscitivo richiederà al soggetto un grande impegno e notevoli sforzi per evitare di sedersi lungo la via e rassegnarsi a convivere con il panico in quella che poi è una non-vita. Il dio Pan (mezzo uomo e mezzo caprone), da cui deriva il termine “panico”, era, nella mitologia greca, la divinità delle foreste, che si narra si adirasse contro chi lo disturbava, emettendo delle urla terrificanti che provocavano, nel malcapitato, una paura incontrollabile (il panico appunto). Per impedire che il dio Pan sbuchi di nuovo da qualche albero per terrorizzare l'individuo, questi dovrà continuare a procedere lungo il suo percorso, possibilmente accompagnato da una figura importante e preparata come quella dello psicoterapeuta, che lo aiuti a sostenere il peso della fatica di un simile viaggio.
Fare luce su cosa sia il panico e su cosa rappresenti per il soggetto che ne soffre, sono quindi alcuni dei compiti ai quali la psicoterapia può assolvere nell'aiutarlo a capirne le origini e i significati, in modo da renderlo capace di affrontarlo e sconfiggerlo.
Il mio intento, in queste righe, non è di soffermarmi sui criteri diagnostici e la sintomatologia di tale tipo di diturbo psicologico. Ciò che mi preme, invece, è cercare di mettere in luce l'importanza di una relazione d'aiuto, come quella terapeutica, nell'affrontare questa problematica. Tale particolare tipo di rapporto, in questo come in altre forme di disagio, diventa infatti rilevante, intendendolo, in accordo alla definizione di Engler e Goleman (1992), come una relazione “probabilmente diversa da ogni altra di cui si sia fatta esperienza; una curiosa combinazione di intensità emozionale e di distacco, di coinvolgimento intimo e di distanza oggettiva che permette di condividere e confrontare i propri problemi personali, la propria vulnerabilità, le proprie fantasie più oscure e le proprie paure più profonde con un'altra persona addestrata ad aiutare senza giudicare, il cui esclusivo interesse è rappresentato dai tuoi bisogni e dal tuo beneficio”. Particolari momenti di intesa e alcune reazioni spontanee tra terapeuta e paziente (un momento di umorismo condiviso, uno sguardo, una sensazione di intenso coinvolgimento) avranno un forte impatto terapeutico e potranno essere ricordati a lungo dopo la conclusione della terapia, favorendo un processo fondamentale come quello dell'interiorizzazione di questa nuova forma di relazione. La stessa “cura di transfert” (Gabbard, 2007), ossia quel meccanismo in base al quale il paziente starebbe meglio per compiacere l'analista testimonia di come, una sana interiorizzazione di questo rapporto, possa produrre degli effetti benefici a lungo termine.
Il sentirsi dire dal proprio psicoterapeuta che “di panico non si muore” e contemporaneamente avvertire in lui una convinzione tale da essere contagiosa, può suscitare reazioni incredibili nel paziente e impensabili in termini puramente “curativi”. È vero che è stato evidenziato come diversi tipi di psicoterapie siano diventati degli strumenti in grado di apportare modificazioni biologiche a livello dei collegamenti tra reti neurali associative, ma è altrettanto vero che perché ciò avvenga c'è bisogno di un determinato contesto, di una buona alleanza terapeutica. Se viene a mancare quell'alchimia necessaria a sortire determinate risposte nel soggetto sofferente, queste non potranno di certo essere suscitate dalla mera applicazione di pure metodologie tecniche. La stessa compliance al trattamento potrà essere ottenuta solo all'interno di una relazione d'ascolto significativa, nella quale la fiducia diventa il terreno imprescindibile sul quale muoversi affinché le parole diano quei frutti necessari al soggetto in modo che li possa cogliere e nutrirsene all'occorrenza.
Un efficace intervento terapeutico si candida, quindi, come un valido aiuto per ritornare a vivere. Certo non si torna a vivere la vita spensierata di prima, ma una “nuova” vita, perché in fondo l'esperienza di panico serve a farci prendere coscienza di una più intima identità, che avevamo più o meno involontariamente trascurato e che è dovuta ricorrere a mezzi eclatanti per farsi sentire e rivendicare il suo giusto ruolo. Dott.ssa Viviana Russo - Psicologa